Durante l’evento Contemporary Christmas 100% Artisanal Design tenutosi a Roma a Dicembre abbiamo avuto modo di conoscere meglio Paola Monorchio, Designer e fondatrice del marchio Glix.

Il nostro interesse verso Glix era già stato stuzzicato durante A.I.1, uno degi eventi che ha caratterizzato l’edizione estiva di AltaRoma, occasione in cui era esposto abito istallazione del brand.

I capi, come i gioielli, creati dalla designer sono concettuali, nella migliore tradizione sartoriale e parigina (città dove ha vissuto, studiato, lavorato), nascono e prendono forma attorno al corpo con lo scopo di esaltarlo, arricchirlo e rendere pratico il loro uso.
Sono abiti dalla molteplice identità e uso i pantaloni diventano giacca, la gonna si trasforma in vestito in un gioco che va al di là delle taglie e delle forme stesse.

Così Paola Monorchio ci ha parlato di Glix.

Come prende forma il progetto Glix?

L’abito è il segno distintivo che diamo al nostro corpo, attraverso il quale sveliamo la nostra mente e il nostro modo di essere. La mia ricerca consiste nell’ipotizzare un’estetica alternativa dell’abito come contenitore, nella riduzione delle forme tradizionali del vestire a un’essenzialità geometrica, ridotta ai minimi termini, ovvero a una sorta di schema.

Il tessuto, pensato come materia da plasmare, diventa un “involucro” che prende forma seguendo le curve del corpo. Penso a un abito come a qualcosa che ha una funzione specifica, che non è solo soggetto alle mode del momento, che mutano continuamente, ma che è soprattutto “oggetto” destinato a un utilizzo.

L’approccio del mio lavoro ai materiali tessili è un approccio progettuale e non sartoriale. I miei abiti-oggetti sono concepiti per essere pratici, versatili, comodi. In essi cerco di sintetizzare un’idea senza tempo. Questo fa parte della mia formazione da progettista!

In realtà Glix nasce come linea di gioielli, sostanzialmente ispirati a forme della natura e caratterizzati dal trattamento delle superfici, granulate o traforate. In un secondo momento, la mia attenzione si è focalizzata su motivi ornamentali, spesso molto complicati, ripresi da tappeti, arazzi, broccati o ornamenti architettonici. Il metallo è trattato come superficie da scalfire, da incidere e nella quale lasciare impresso un disegno.

Mi confronto contemporaneamente con materiali molto diversi tra loro: dalla morbidezza e lavorabilità del tessuto si accosta il metallo, duro e difficile da trattare, che porta con sé anche il vincolo del volume e del peso.

Da cosa nasce il nome?

Il nome Glix è nato quando ero solo una bambina. Me lo ha dato mio padre, ‘grecizzando’ l’appellativo ‘zucchero’ con cui mi chiamava il nonno materno. E mi è rimasto.

Glix era rapido da pronunciare, suonava alle mie orecchie come qualcosa di vagamente metallico, forse di piccolo … In qualche modo ero io! Poi è divenuto un brand.

 

Gli abiti, gli accessori e i gioielli che realizza sono molto ricercati, da cosa trae ispirazione quando pensa a una collezione?

Mi lascio ispirare dai sensi. Dal tatto soprattutto. La materia non è una scelta secondaria, ma fa parte integrante del processo progettuale e realizzativo.

Soprattutto per gli abiti, la selezione avviene in funzione della composizione del tessuto, della sua rigidità o morbidezza, a seconda dell’effetto che desidero ottenere.

Amo i tagli severi, forme che riportano alla mente qualcosa di guerriero, di rigorosamente maschile, che poi unisco a pieghe docili, in cui le geometrie si ammorbidiscono rivelando la sensibilità e il tocco di una donna. Così accade anche nei gioielli, che spesso coprono porzioni di corpo, come vere e proprie corazze da amazzone!

Lo scorso luglio ha presentato a Roma l’istallazione Io abito qui realizzata con un suo abito, ce ne parla?

‘Io Abito qui’ è un’installazione dal forte valore autobiografico. È un’opera nella quale coesistono spunti della mia storia personale e valenze simboliche e astratte, che costituiscono uno dei possibili punti di vista su cosa di noi rappresentiamo all’esterno.

Intendo dire che un abito è un oggetto d’uso quotidiano cui solitamente diamo poca importanza, ma racchiude in se una molteplicità di concetti legati ad abitudini, stili di vita, inclinazioni e modi di vivere di una persona. Un abito , traduce esteriormente ciò che siamo, l’ambiente dal quale proveniamo, le nostre preferenze, il nostro modo di stare con gli altri, il ruolo che ricopriamo nella società o in un ambiente lavorativo; è l’involucro che ci protegge e separa dal mondo esterno. Non è solo il contenitore del nostro corpo, ma anche della nostra mente, attraverso di esso sveliamo o celiamo la nostra essenza profonda.

Un abito è l’architettura versatile dei nostri gesti quotidiani, la casa fatta su misura per noi che ci portiamo dietro ovunque andiamo!

Il progetto ‘Io Abito Qui’ rappresenta anche un manifesto desiderio di radicamento in un luogo non fisico, ma dentro una gestualità quotidiana fatta di cose tangibili  e ricordi, in uno o molti luoghi della memoria, dove il passato è un segno di qualcosa che non c’è più, ma che ha lasciato tracce indelebili.

L’identità affiora attraverso gli oggetti, quegli oggetti che racchiudono memorie, legami o semplicemente abitudini e in quel luogo senza nome si ritrova un senso di appartenenza.

La rete la aiuta nel suo lavoro? Se si quanto è importante per il Lei il rapporto con i web magazine, i fashion blog?

La rete è uno straordinario mezzo di diffusione di idee e di scambio culturale.

Dalla rete si ottiene una visibilità a 360° e su molti livelli.

Lo ritengo uno strumento estremamente prezioso e una fonte inesauribile di informazioni, costantemente aggiornata.

I web magazine e i fashion blog sono un ulteriore propulsore per tutto ciò che riguarda la comunicazione, la diffusione di idee e tendenze e anche l’aggiornamento costante su ciò che accade intorno a noi, vicino o lontano che sia!

A proposito dell'autore

Secondogenito e gemelli: questo la dice lunga sul mio carattere. “Ottantologo”, Pop addicted, nel corso degli anni ho collaborato con diverse testate, tra cui L@bel, Progress e Aut. La moda è la mia passione più grande perché è cultura, è visione sociologica della vita e del mondo. Freitag addicted le vorrei avere tutte. La Rete è la mia seconda casa. Sono dieci anni che il mio avatar è Psikiatria80, nome del mio primo blog, ma anche di tutti i miei profili sui tanti social network.

Post correlati